Il turista, il visitatore o l’appassionato che desiderasse andare alla scoperta di espressioni dell’arte rinascimentale nella nostra ridente regione, l’Umbria, non dovrebbe assolutamente mancare di recarsi in un piccolo borgo affacciato sul lago Trasimeno e adagiato su morbide colline verdeggianti di olivi e viti: si dovrebbe per forza recare a Panicale.
Questo insieme di case, di chiese, di mura circondato da un panorama mozzafiato può vantare l’origine medievale e il ricco sviluppo dei secoli successivi, quelli appunto del Rinascimento, quando gli edifici sacri vennero rinnovati e decorati da mani esperte di celebri artisti. Le loro opere costituiscono il vanto degli abitanti moderni e la meraviglia di chi ha pazienza e curiosità sufficienti per deviare dalla via principale ed inerpicarsi fin daccapo a questo luminoso colle. Qui lo attende un numero di monumenti ed opere d’arte tale da risultare sorprendente per un centro che oggi sembra così ridotto per numero di abitanti.
Nella Collegiata di San Michele Arcangelo, nella terza cappella a sinistra, si trova la tavola de L’adorazione dei pastori dipinta nel 1519 dal perugino Giovan Battista Caporali e stimata nel medesimo anno da Domenico Alfani e da Fiorenzo di Lorenzo. Le figure della Vergine, del Bambino, di san Giuseppe e dei pastori sono debitrici nei confronti di quelle messe a punto da Pietro Vannucci in tanti anni di lavoro, così come lo è lo schema compositivo, che vede in primissimo piano Gesù adagiato a terra e i Genitori inginocchiati sul prato verdeggiante. Immediatamente dietro si scorgono i tre pastori e nel mezzo san Michele Arcangelo, titolare della chiesa e patrono del borgo, che indossa un’armatura e prega anch’egli a mani giunte. Il contesto ambientale si discosta invece dai modi perugineschi e pintoricchieschi che il Caporali aveva ben presenti data la frequentazione giovanile dei due famosi maestri suoi concittadini. Molto originale appare il profondo paesaggio sullo sfondo, dove si scorge un fiume che si apre come un fiordo tra irte montagne verso l’orizzonte, attraversato da un ponte a tre arcate, e una città sulla riva sinistra. Dalle rocce aspre spunta un drammatico albero secco, mentre una giovane e verde pianta si staglia al centro della scena e sembra quasi inchinarsi verso il Bambino per rendergli omaggio o per proteggerlo. A destra si vede la stalla con il bue e l’asino, una struttura architettonica si gusto rinascimentale con delicati elementi decadenti, come le tettoie ricoperte di paglia.
La tavola è corredata della cimasa a lunetta in cui è effigiato Dio Padre secondo l’iconografia consolidata dal Perugino in cui Egli appare come un anziano barbuto e canuto in atto di benedire, accompagnato da angeli musicanti.
La predella non è più presente in sede, venne infatti donata a Gregorio XVI nel XIX secolo e si trova oggi a San Gregorio al Celio a Roma.
Il riconoscimento della paternità esecutiva al Caporali risale soltanto al 1890, quando Adamo Rossi rinvenne nell’Archivio di Stato di Perugia il documento che stabiliva le modalità di pagamento del saldo al pittore da parte dei procuratori di Panicale. Fino a tale data, secondo una tradizione locale tramandata da don Corinzio Corsetti, il quadro era opera di Raffaello.
E proprio dal pennello del Sanzio sembra che sia uscito un altro dipinto, questa volta un affresco, che si trovava in origine nella chiesa di Sant’Agostino, sull’altare della Madonna del Soccorso, e dalle pareti della quale venne rimosso nel 1796 per evitarne il completo danneggiamento. Oggi, dopo accurati restauri che hanno previsto anche la collocazione su di un apposito supporto, l’opera è conservata nella chiesa di San Sebastiano. Il dipinto raffigura la Vergine Maria seduta e circondata dalla mandorla mistica o Visica Piscis, simbolo antichissimo che veniva utilizzato già nelle basiliche paleocristiane e nelle catacombe ma posizionato orizzontalmente, così da assomigliare ad un pesce, animale scelto dai primi cristiani per riconoscersi poiché in greco pesce appunto si dice Ichthys, parola che è l’anagramma della frase “Gesù Cristo, figlio di Dio Salvatore”. La forma ogivale della mandorla si ottiene dall’intersezione di due cerchi del medesimo raggio, nei quali si può ravvisare la rappresentazione dei due mondi: quello terreno e quello ultraterreno, di cui Cristo è esempio emblematico come figlio di Dio fattosi uomo e la Vergine è appunto colei in cui Egli si è incarnato.
Maria tiene in braccio suo Figlio e poggia i piedi su delle sottili nuvole senza toccare terra, quattro angeli la circondano suonando antichi strumenti musicali, una lira da braccio, una pifara, una ribeca e un liuto. Altri due angeli in volo mantengono una corona sulla testa della Madonna, circondata da delicati puttini. In basso a sinistra è inginocchiato sant’Agostino in veste di vescovo e titolare della chiesa in cui fu dipinto l’affresco, a destra invece è santa Maria Maddalena con la caratteristica pisside. Nonostante la superficie pittorica sia lacunosa e abbia subito gravi danni, è comunque possibile apprezzare la notevole qualità esecutiva del lavoro, la raffinatezza dei colori e degli effetti serici ancora percepibili in alcune parti, l’eleganza dei volti e il trattamento impeccabile dei dettagli, come ad esempio le ali degli angeli.
Questo dipinto, che tradizionalmente veniva attribuito al Perugino o al suo seguace, lo Spagna, in tempi recenti è stato oggetto degli studi di Elvio Lunghi che, attraverso confronti con opere giovanili eseguite da Raffaello quando ancora poteva essere in contatto con il suo maestro, il Perugino appunto, come la pala Gavari o la pala Colonna, attraverso l’analisi di un disegno conservato presso il Fogg Museum di Cambridge, Massachusset, che sembra preparatorio per l’angelo tutto a sinistra del nostro dipinto, giunge a proporre l’interessante idea che l’Urbinate possa aver lavorato a Panicale tra 1502 e 1506, anche per via dell’intermediazione dei Baglioni, già suoi committenti e proprietari del castello di Montalera, distante pochi chilometri dal borgo.
La chiesa di San Sebastiano deve la sua notorietà all’opera che vi dipinse nel 1505 Pietro Vannucci, come si è detto il maestro di Raffaello, e che ancora oggi fa bella mostra di sé in perfetto stato di conservazione. L’affresco raffigura il martirio del santo titolare della chiesa, un soldato romano convertito al cristianesimo e martirizzato il 20 gennaio del 288, qui posto esattamente al centro della composizione, issato su di un piedistallo e legato ad una colonna, come un capro espiatorio pronto per essere sacrificato.
Sulla cornice di questo cubo in pietra è ancora possibile leggere alcune lettere bianche che costituiscono la firma del pittore: Petrus de Castro Plebis, cioè Pietro da Castel della Pieve, oggi Città della Pieve. Gli aguzzini di Sebastiano sono tre arcieri ed un balestriere in abiti cinquecenteschi, disposti simmetricamente a due a due ai lati dell’elemento centrale; le loro pose sono molto eleganti tanto che sembrano più dei ballerini intenti a danzare che dei carnefici. Questa scena, da cui non traspare né violenza né dramma, è ambientata in uno scenario ideale che Perugino crea attraverso l’uso della prospettiva geometrica. C’è un’ampia piazza dal bel pavimento a riquadri sulla quale si muovono le figure come fossero attori sul palcoscenico, mentre in secondo piano una serie di arcate di sapore classico chiude questo spazio e apre verso un bellissimo paesaggio ispirato chiaramente al territorio di cui Panicale fa parte, il lago Trasimeno e i colli che lo circondano. La luce chiara, trasparente, e i colori caldi e freddi sapientemente accostati conferiscono un’atmosfera unica al dipinto, che emana quiete e serenità a dispetto dell’episodio storico che racconta.
Restaurato nel 1985 da Bruno Zanardi, l’affresco si presenta complessivamente in buone condizioni, fatta salva qualche caduta di colore e la parziale copertura di alcuni centimetri di pittura ai lati, dovuta ai lavori seicenteschi effettuati nella chiesa che portarono anche al rifacimento della copertura a volte.
Queste opere d’arte fanno parte del circuito museale e monumentale del borgo, che comprende anche il teatro Cesare Caporali, il Museo del Tulle, il Museo della Madonna della Sbarra, circuito che testimonia l’importante passato di Panicale e ne costituisce oggi la ricchezza.